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Il Fantasma dell’Opera - Genova

 

Nell’attuale Largo Pertini, luogo dove ora sorge il Teatro Carlo Felice, così chiamato in onore dell’omonimo monarca sabaudo, sorgeva l’abbazia di San Domenico e fu proprio fra le prigioni di quelle sante mura che si consumò la giovane vita di Leila Carbone.

 

Leila era una leggiadra fanciulla, figlia di un abile liutaio, la cui bellezza era superata solo dalla sua abilità musicale: infatti sapeva suonare divinamente non solo il violino ma anche la spinetta e tanti altri strumenti. La sua colpa fu quella di essersi innamorata, ricambiata, di un giovane rampollo di una nobile famiglia genovese.

 

Questa bella storia d’amore non piacque alla madre del giovane né tanto meno alla sua nobile promessa sposa: le due donne, infuriate da tanto ardire, tramarono una meschina vendetta ai danni dell’ignara Leila. Si sa che, a quei tempi, quando si ci voleva sbarazzare di qualcuno senza essere coinvolti, soprattutto se questa era una donna, bastava depositare una missiva anonima nella cassetta dei supremi sindacatori che accusasse la sfortunata di esercitare le arti malefiche.

 

La poverina venne condotta davanti al tribunale dell’Inquisizione domenicana e si spense per il dolore e i patimenti nel Carcere della sopraccitata abbazia: di lei non se ne seppe più nulla.

 

Passarono gli anni, per non dire i secoli, e per far spazio al nascente teatro venne abbattuta l’Abbazia di San Domenico. La cosa non piacque di certo ai Frati domenicani; anzi, fonti ufficiose rivelano che questi ultimi scagliarono contro il teatro un terribile anatema, perché per costruire un luogo di svago, quindi di peccato, veniva abbattuta una costruzione sacra. Il progetto del teatro dell’opera fu affidato all’architetto Carlo Barabino e in tre anni l’edificio vide accendersi le luci della ribalta. Il teatro fu inaugurato il 7 aprile 1828 alla presenza dei reali del Regno di Sardegna Re Carlo Felice e la regina Maria Cristina di Savoia: di Leila non vi era ancora traccia.

 

Tra le varie tristi vicissitudini del teatro, che i maligni affermano dovute all’anatema, ci fu anche la sua parziale distruzione dovuta ai bombardamenti della II Guerra Mondiale. Vari e infruttuosi furono gli intenti successivi di ricostruzione e dopo tanti progetti disattesi e accantonati, anche a seguito  della morte di uno degli architetti che avevano vinto la gara, il nuovo Carlo Felice dovette attendere circa 50 anni per riaprire i sipari. Il nuovo progetto ampliò la superficie del Vecchio Teatro dell’Opera e le ruspe andarono a scavare anche dove un tempo sorgeva il vecchio cimitero. Non si sa se aver smosso la terra che aveva accolto le sue spoglie terrene o per quale altro misterioso prodigio, lo spirito di Leila Carbone fu richiamato in questo mondo; anzi, per l’esattezza all’interno del Teatro, che divenne la sua nuova dimora.

 

Molti fra macchinisti, tecnici e cantanti del teatro l’hanno vista e giurano che al suo passaggio si sente nell’aria un intenso profumo di rose.

 

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